sabato 18 dicembre 2010

Ci conviene non avere più una torta da spartire in pochi ?


In questi giorni di dure manifestazioni di dissenso mi sono spesso interrogato sul fine di queste azioni. Perché tutta questa voglia di cambiare, di trovare una soluzione tutti insieme, cantanti, attori, musicisti, artisti, studenti, sindacati, gente comune eccetera, al momento delle elezioni sembra perdersi in uno schiocco delle dita. Tutto diventa fumo. Per andare a fondo, la mia domanda è: perché poi si votano sempre gli stessi? Parlo di destra e di sinistra.  Perché al momento di votare non ci ricordiamo che bisognerebbe non votare sempre gli stessi. Non faccio nomi, perché basta che li conosciate per sentito dire e già vi dovreste rendere conto che, solo per questo, sono le persone sbagliate. Se solo ci informassimo su chi ha già ricoperto una qualsivoglia carica politica e non lo votassimo solo per questo motivo, credo che già faremmo un grande passo in avanti. Gli ideali politici non esistono più e se esistono non servono a niente, non ci hanno portato da nessuna parte. Allora perché votare PDL? Perché votare PD? Perché votare qualsiasi altro partito che per il solo fatto di essere tale è un errore radicale per l’Italia che vuole cambiare? Se voti una delle due fazioni perché vuoi entrare nel giro, perché sogni di essere un di loro, allora sei giustificato, non sei certo tra quelli che vogliono cambiare davvero le cose. Quanti ne conosco di questa specie. In sostanza si lamentano non perché l’economia va male, non perché sono circondati da famiglie che vivono in condizioni tristi, non perché i loro stessi figli sono sfruttati o snervati dall’assenza di lavoro,  non perché non arrivano a fine mese o non ci arrivano nelle stesse condizioni di prima, si lamentano perché sono rimasti fuori dai giochi. Fuori dai giochi dell’Aquila. Fuori dai giochi dell’Expo. Pian piano, fino a chi è rimasto fuori dai giochi del proprio paesello, fuori dall’ultima piccola lottizzazione del minuscolo paese di montagna. Protestano per questo,  perché loro non possono spartirsi la torta. Tra la destra e la sinistra la differenza sta nel come si spartiscono l’Italia. Al PDL la gran parte della torta va al primo ministro “il cavaliere  e il resto, sbriciolato in pezzettini sempre più piccoli, al resto dei politicanti, dal più grande in carica al più insignificante “Cetto La Qualunque”. La stessa identica dinamica di spartizione avviene nel PD, con l’unica differenza che loro essendo “democratici” spartiscono in modo più equo. Il primo ministro, eventuale, prenderà, della torta, molto meno del cavaliere, lasciando più spazio agli altri e facendo partecipare più persone ai giochi. E’ tutto qui l’ideale della sinistra del grande manovratore D’Alema. E allora perché continuiamo a votare i grandi partiti? Forse perché le cose potrebbero cambiare veramente, votando perfetti sconosciuti capaci di fare l’interesse del Paese. E ci conviene non avere più una torta da spartire in pochi? O è meglio continuare a sognare di far parte, prima o poi, dei giochi e così cambiare in un sol colpo la nostra vita?

 E qui vengo al punto. Perché il Movimento Cinque Stelle prende così pochi voti? Qualcuno dirà, a cominciare da loro stessi, che non sono mica pochi per un movimento nato su internet senza pubblicità canoniche, per esempio la pubblicità televisiva dei telegiornali e dei talk-show. Per me sono pochi, in un Paese alla rovina che desidera una svolta. Che ha bisogno di una svolta. Qualcuno dirà che gli è antipatico Beppe Grillo e per questo non prende in considerazione il movimento. Sappiate che il movimento è autonomo anche da Beppe Grillo, che non sta simpatico neanche a me più di tanto, soprattutto da quando ha iniziato ha parlare contro tutti indistintamente. Condivido pienamente la stragrande maggioranza delle tesi di Grillo, che coincidono con quelle del Movimento,  e sono certo che Grillo ha il pieno merito di aver dato l’avvio al Movimento Cinque Stelle. Ma per il resto non credo che, quest’ultimo, sia sotto la sua gestione, tant’è che proporrei, per questa ragione, l’esclusione dell’indirizzo del blog di Grillo dal logo del movimento. A scanso di equivoci.

E comunque, credo di conoscere il motivo per il quale questo movimento autonomo, di giovani sconosciuti ma capaci , prende pochi voti. L’ho anticipato prima. Perché cantanti, attori, musicisti, artisti, studenti, sindacati e anche gente comune crede ancora di avere una possibilità in più se a “salire” sono quelli che conosce meglio, quelli di cui ha sempre fatto parte. C’è anche una cospicua parte di professionisti, architetti, avvocati, commercialisti, medici che sono certi di ritornare nei giochi. Che non hanno interesse a rinnovare ma solo a ribaltare l’organizzazione, per riprenderne almeno per i prossimi cinque anni le redini, e mettere da parte qualche milione di euro per il successivo cambio palla. Questa è l’Italia, questo è il popolo italiano. E non credo di aver scoperto l’acqua calda.

venerdì 10 dicembre 2010

Trasparenze contemporanee


E’ oramai un’ anno che la biblioteca pubblica di Caserta è chiusa. Quella nuova è pronta, o almeno, così dicono. D’altronde, tra il dire e il fare, a Caserta, c’è sempre di mezzo la politica. E la politica i casertani la conoscono meglio degli altri. Tant’ è, che nessuno come i casertani riesce ad accorgersi, con tanta accortezza, quando le “cose” non vanno più bene e bisogna cambiare il Sindaco. Le “cose” non vanno più bene quando si avvicina la fine del mandato. E' allora che a Caserta inizia il malcontento, quando si avvicinano le votazioni. Strano. 

Ci sono già state le primarie ed è stata una vittoria per la democrazia. Il numero dei votanti si è dimezzato ma “è stato un bel risultato”. O almeno, così dicono. D’altronde, tra il dire e il fare, a Caserta, c’è sempre di mezzo la politica.

Ma veniamo a ciò che mi interessa di più, la biblioteca. Un’ anno fa ne avevamo una. Sono riusciti a farci rimpiangere anche una delle biblioteche più brutte d’Italia, la nostra. Uno si affeziona, questo è vero, anche ad una sala grigia.

Ma adesso ne abbiamo una all’avanguardia, moderna, che esprime un nuovo concetto di architettura. Si, perché in tutto il mondo i super-architetti cercano la trasparenza delle mura, noi siamo riusciti ad ottenere l’inesistenza … non dei muri, … dell’ Utilitas. Per questo siamo tranquilli. Si tratta di trasparenze contemporanee. Ci sono, però, diversi spazi a Caserta che soffrono queste trasparenze contemporanee, c’è, per esempio, l’ex Caserma Sacchi o dovrei dire “Covo Brigante Palma”, ma anche quel grosso edificio di fronte alla stazione dei treni, con quattro grandi cortili, con quel grande giardinetto, di cui non mi sovviene il nome. E questi sono solo i due più importanti.

Ma adesso ci saranno le elezioni e forse qualcuno ci prometterà una biblioteca. La stessa di cui  fino ad ora nessuno si è interessato. Sicuramente sarà nel programma di tutti i candidati a sindaco (se ci saranno i programmi). “Riapriremo la biblioteca”. O almeno, così diranno. D’altronde, tra il dire e il fare, a Caserta, c’è sempre di mezzo la politica.  
  
P. s. : La nuova biblioteca sarà un macello.

sabato 4 dicembre 2010

11 domande a … Raffaele Cutillo

Dalla pagina Facebook di Raffaele Cutillo

Undici domande come gli undici giocatori di una squadra di calcio. Strutturate con un modulo calcistico, il 4-4-2. La prima domanda non viene conteggiata proprio come il portiere nel modulo di una  squadra. Perché un portiere deve stare per forza in porta, così come un uomo deve essere per forza qualcuno.
Undici domande, sempre uguali, con le quali interrogare tanti personaggi della vita di tutti i giorni, di ogni estrazione sociale, di ogni professione. Per capire se si può comprendere qualcosa in più, cominciando da ognuno di noi.

Le domande: 
-le prime quattro sulla vita, come ti difendi;
-le seconde quattro sui sogni, la fantasia al centrocampo;
-ed infine,  il futuro, come bisogna buttare la palla dentro.


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Raffaele Cutillo è un noto architetto. Direttore di OfCA, acronimo di Officina Cutillo Architetti, spazio aperto alla cultura dove, tra l’altro, da mesi si tiene la manifestazione “Luci sulla città”, ideata in sinergia con Matteo De Simone, psicoanalista. 

1.        Ti consideri ottimista o pessimista?
Oscillo molto tra i due atteggiamenti, mediamente sono più pessimista che ottimista.

2.       Qual è la tua giornata tipo?
Abbastanza cadenzata e anche abbastanza riconoscibile senza grandi alterazioni. Tutta centrata sul lavoro con pochi spazi al tempo libero e purtroppo pochi alla famiglia, se non il fine settimana.
Cantieri, pochi momenti di pausa, studio e a fine serata mi dedico molto alla lettura di qualsiasi natura, sia cartacea che virtuale.

3.       Cosa ti piace ascoltare in questo periodo?
Ascolto sempre la stessa musica, in genere ascolto musica classica, mi piace molto Mozart, e Bach. E quando capita non mi dispiace ascoltare pianoforti in senso lato, Keith Jarrett.

4.       Qual’ è l’ultimo libro che hai letto o che stai leggendo?
In questi ultimi giorni nessuno, perché preso dall’organizzazione di “Luci sulla città” non ho molto tempo. L’ultimo libro che ho letto è stato quello che ho presentato alla Feltrinelli,  di Cherubino Gambardella, Architettura per definizione. Mi piace molto di più leggere di letteratura pura più che di saggi. I classici. Considero molte delle cose fatte negli ultimi anni delle escrescenze rispetto alla vera natura letteraria, che risiede ancora nei volumi tra Ottocento e Novecento. Non vedo molta evoluzione, a parte qualcuno.

5.       Che cosa faresti, potendo, domani e nei prossimi giorni?
Con gli anni e con l’età, non ti nascondo, che una cosa che mi prende da un po’ di tempo è la solitudine. Rincorro la solitudine, mi piacerebbe avere a disposizione un piccolissimo spazio in una zona isolata per continuare a riflettere. Una cosa che mi piacerebbe molto fare è questa. Come percezione panoramica forte. La percezione visiva mi da molto, molta carica. Molta profondità davanti a me, quindi una vista verso il mare o le montagne, una piccola alcova dove ritirarmi. In perfetta solitudine, portandomi con me gli affetti, ovviamente, ma fisicamente da solo.

6.       Chi ti piacerebbe incontrare?
Spero di farlo nei prossimi giorni. Dovrei partecipare ad un pranzo di Natale con gente povera, extracomunitari, clochard, barboni. Mi piacerebbe incontrare una grande vitalità e sono certo di trovarla in una di queste persone in quel giorno di Natale.

7.        Chi ti piacerebbe rivedere?
Mio padre, … che non c’è. Per verificare quanto io verifico con i miei figli, che sono lo specchio della mia infanzia, dell’adolescenza. Mi piacerebbe fare il lavoro inverso con mio padre. Leggere in lui la maturità avanzata che io sto per raggiungere. Mi piacerebbe sentirla da lui.

8.       L’altra vita che avresti voluto vivere, qual’ è?
Da pesce. Mi piace molto questo senso di libertà assoluta che da il mare e anche la fluidità del movimento. Riscoprire e ritrovare mondi e visioni diverse infimamente. Più una condizione onirica che non fisica.

9.       Quale notizia vorresti leggere domani?
In questo momento mi piacerebbe leggere la notizia di un miglioramento complessivo della salute pubblica, nel senso anche economico, produttivo. Una notizia che riguarda soprattutto la nostra terra, dove finalmente la politica intuisce e riconosce il nostro mondo come qualità culturale, piuttosto che in altre direzioni produttive che sono quelle solite, industriali, di edilizia pura.

10.   Che cosa auspichi per Caserta?

Quello che dicevo. Auspico una riconoscibilità oggettiva degli alti e altri valori potenziali che non risiedano nel continuum legato al commercio, al settore edilizio a quest’affanno del costruire. Mi piacerebbe, invece, recuperare alcune identità, gli aspetti culturali, gli aspetti paesaggistici, gli aspetti legati all’enogastronomia. A tutte quelle cose immateriali che secondo me soggiacciono nelle potenzialità di questo luogo. Che non vengono tirate fuori.

mercoledì 1 dicembre 2010

11 domande a ... Michele Vassallo


Per cominciare, 11 domande a me stesso.
Undici domande come gli undici giocatori di una squadra di calcio. Strutturate con un modulo calcistico, il 4-4-2. La prima domanda non viene conteggiata proprio come il portiere nel modulo di una  squadra. Perché un portiere deve stare per forza in porta, così come un uomo deve essere per forza qualcuno.
Undici domande, sempre uguali, con le quali interrogare tanti personaggi della vita di tutti i giorni, di ogni estrazione sociale, di ogni professione. Per capire se si può comprendere qualcosa in più, cominciando da ognuno di noi.

Le domande:
-le prime quattro sulla vita, come ti difendi;
-le seconde quattro sui sogni, la fantasia al centrocampo;
-ed infine,  il futuro, come bisogna buttare la palla dentro.

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Ho 33 anni, sono architetto e curo questo blog

1.   Ti consideri ottimista o pessimista?
Sicuramente pessimista.

2.  Qual è la tua giornata tipo?
La mattina lavoro al computer nello studio con il quale collaboro e nel pomeriggio lavoro al mio studio, disegno, scrivo, leggo … tento di stare al mondo.

3.  Cosa ti piace ascoltare in questo periodo?
Stranamente musica classica. Stranamente perché non è mai stato così, mi ci sto avvicinando solo adesso.

4.  Qual’ è l’ultimo libro che hai letto o che stai leggendo?
“Aspetta primavera, Bandini” di John Fante. Un libro in cui mi ha colpito soprattutto il rapporto che alcuni personaggi hanno con la religione cattolica. Credo che sia molto realistico quel timore “cattolico” che non ti lascia vivere, che ti soffoca, ma che allo stesso tempo ti dona una finta tranquillità in altri momenti.

5.  Che cosa faresti, potendo, domani e nei prossimi giorni?
Partirei per un viaggio da solo, anche breve. Lo sogno spesso.

6.  Chi ti piacerebbe incontrare e perché ?
Forse me stesso,  per capire che effetto faccio e quante possibilità mi do.

7.   Chi ti piacerebbe rivedere e perché ?
I miei nonni, gli chiederei della loro vita e vorrei che me la raccontassero nei particolari.

8.  L’altra vita che avresti voluto vivere, qual’ è?
Quella di un vagabondo, sempre in giro per il mondo senza punti fissi, ne famiglia. Sempre a fare qualche cosa di diverso in posti diversi per tutta la vita. Fino a rinchiudersi, un bel giorno, in qualche posto e raccontare tutto in un libro. Sarebbe bello e tremendo allo stesso tempo, ed è il contrario di quello che faccio in questa vita.

9.  Quale notizia vorresti leggere domani?
Vorrei leggere che finalmente c’è una possibilità per far ricominciare da capo questo Paese. Senza i soliti, senza nani, senza mignotte, senza mafiosi in parlamento e con un bel po’ di meritocrazia in più.

10.  Che cosa auspichi per Caserta?
Quello che auspico per il paese intero, un cambio di direzione, non il solito, ma uno deciso. Caserta ha tante possibilità ma non ne sfrutta nessuna. Urbanisticamente penso al Macrico che è uno spazio che potrebbe donare un respiro nuovo alla città. Politicamente spero che ci sia qualcuno capace di educare, con le buone o con le cattive,  i costruttori della nostra zona a non pensare, come dei mafiosi, al  solo profitto; perché non dobbiamo dimenticarci che la città è fatta soprattutto di piazze, edifici, strade, servizi, illuminazione e attività culturali.
         Ma, … credo sia impossibile. D’altronde sono un pessimista.

giovedì 25 novembre 2010

Allegro molto appassionato


Quando mi guardo allo specchio e quel che vedo è il viso canonico di un folle, mi rilasso, mi sembra che tutto improvvisamente abbia un senso. Sento di stare bene. Mi viene voglia di fare qualsiasi cosa, anche niente, non ho più paura. Sono appagato dalla mia figura, vorrei poterla continuare a vedere, anche riflessa. La tranquillità d’animo che ne deriva è troppo importante, sembra invincibile. Vorrei averla sempre a vista, sento che sarei per sempre sereno e quindi felice. Ma questo non è possibile e devo lasciarla nello specchio. Il suo ricordo viene via con me. Inizialmente è nitido poi pian piano va via e non me ne ricordo neanche più. Chissà come sarebbe la vita con quella calma. Poi, però, mi viene in mente che non avrei il coraggio neanche di uscire, mi è già capitato. Non ho il coraggio. Eppure, sento di stare bene e di essere me stesso. Ma devo cambiare presenza per uscire, devo aggiustarmi i capelli scombinati, devo sentire di risultare più normale. Anche se poi mi chiedo normale per chi? Nell’aggiustarmi sento la felicità che pian piano va via, si allontana, mi saluta da lontano, io la riconosco, la saluto, sono felice per un altro momento e poi … non la vedo più. Ha girato l’angolo. Un giorno vorrei riuscire ad essere più coraggioso. Riuscire a camminare in strada con quella mia figura da folle, in una giornata come quella di oggi in cui la pioggia cade, è già sera e la città si rispecchia su stessa con quella luce giallognola dei lampioni, che tanto mi piace. A terra è ancora bagnato, ci sono le foglie cadute e bisogna stare attenti a non bagnarsi troppo. Sono convinto che la gente non mi guarderebbe in modo strano o almeno spero. Io comunque sarei felice e potrei fare qualsiasi cosa, anche niente. Mi piacerebbe girare per le strade a guardare io gli altri, notare le loro diversità e stare al mondo. Continuerei a girare per tutta la serata fino a notte fonda, fino all’alba del giorno che segue. Fino a esserne sazio, se mai si possa essere sazi di girare a vuoto senza una meta. Avrei nella testa quell’allegro molto appassionato di Mendelssohn e così sarebbe tutto perfetto.
Quando, invece, mi guardo allo specchio e quel che vedo non mi rispecchia, rimango insoddisfatto. Divento triste se prima non lo ero. E non mi va di fare proprio niente. Non mi va di stare al mondo.  Così il tempo si smarrisce ed io con lui. Non so come uscirne e così decido di camminare per la città, tento di riprendermi ma non ci riesco, non mi va neanche di girare e me ne ritorno a casa, triste e sconsolato. Vado a letto presto, domani sarà un altro giorno.

domenica 21 novembre 2010

La dittatura dell’ automobile

di Giancarlo Covino

Qualche tempo fa, le 14:30 circa, assisto a una scena comune dalle nostre parti. Un’automobilista sfreccia in una strada cittadina. Mi passa a poco meno di un metro, mentre attraverso la strada, pur avendomi visto da lontano. Mi considera un ostacolo da superare, qualcosa da scansare senza pensarci più di tanto. Ero solo qualcosa che gli impediva una traiettoria perfetta. Era stanco di tornare a casa così tardi, voleva solo accelerare quanto più fosse possibile, per recuperare tempo. Ne aveva perso troppo. Succede spesso.
Ho pensato che esistessero davvero delle entità che lavorano per scansarci dalle macchine, degli angeli insomma, addetti al traffico come dei vigili. I morti investiti sono pochi se contiamo il numero di idioti che gioca con le traiettorie. Sono pochi.
A questo proposito mi torna sempre in mente quello che invece mi accadde a Berna in Svizzera. Non godo a parlare dei paesi stranieri ma mi sono accorto che, in Italia,  neanche a Milano si cambia musica. A Berna ero concentrato a scattare una fotografia senza accorgermi (perché da noi non avrebbe senso) che ero proprio sull’area del marciapiede in prossimità delle strisce di attraversamento pedonale. Essendo sul ciglio della strada controllai che non arrivassero macchine o che non ci fosse pericolo. C’era solo una macchina in lontananza che arrivava. Guardo nel mirino della macchina fotografica, metto a fuoco e scatto. Mi accorgo che la macchina intanto sta arrivando e che sta decelerando. Si ferma prima delle strisce. Non stavo attraversando, ma avrei potuto decidere di farlo e siccome ero in prossimità delle strisce l’automobilista si era fermato preventivamente. Forse un caso limite di attenzione, sta di fatto che per me, che venivo da un posto dove gli automobilisti non si fermano neanche se stai attraversando sulle strisce e vivevo uno dei miei primi viaggi fuori Italia, rimase un fatto straordinario, una mentalità nuova.
Poi, a Berlino mi resi conto che sulle piste ciclabili non bisogna sostare neanche per poco e attraversandole bisogna essere decisi perché le bici sfrecciano. Loro, i Berlinesi, lo sanno tutti. Le bici a Berlino devono poter sfrecciare. Altre situazioni simili mi sono capitate a Parigi, a Pamplona, a Lisbona eccetera.
In sostanza, in Italia c’è la dittatura delle automobili, sei tu a dover stare attento a non rimetterci la pelle. In Europa (certamente non credo che sia tutto rose e fiori) c’è la dittatura del pedone e delle bici. Gli automobilisti sanno che la precedenza è del pedone e della bicicletta.
In Italia, invece, ti insegnano che cosa è l’abuso di potere e di forza fin da piccolo, ti insegnano a fare sempre uso del potere quando è nelle tue mani e ad imparare a restare zitti quando non lo è. Povera Italia.

P.s.  Barlumi di luce si vedono a Terzigno.

sabato 20 novembre 2010

Gli anni della scuola. Giornata mondiale dei diritti dei bambini




 Spesso mi sono soffermato a ripensare agli anni della scuola dell’obbligo ed in modo particolare alle scuole elementari. Questo perché sin dalle prime volte avevo la sensazione che qualche cosa non andasse in quegli anni, in quei ricordi.
Oggi, credo che pur avendo avuto del tempo libero e pur dedicando del tempo al gioco questo fosse comunque poco, perché credo che un bambino debba giocare di più, debba  stare per più tempo senza pensieri. Dovremmo preoccuparci di più dei bambini preoccupandoci dei giochi che fanno, non limitando il loro tempo di gioco con i compiti a casa, spesso troppi e che poco hanno a che fare con un bambino. Ho cominciato a pensare che anche i voti o i giudizi fossero davvero fuori luogo per dei bambini. Sono fuori luogo.
 Sono gli anni più belli, quelli che non faremo mai fatica a ricordare e non posso pensare che ci sia un bambino di sette anni preoccupato per i compiti. Una vita davanti, la gioia nel cuore, la voglia di fare qualsiasi cosa, l’intero mondo a colazione, pranzo e cena e … qualcuno pensa che è importante iniziare, sul serio, a capire la vita … no, io no.
Poi, ieri, ho letto che in Francia un gruppo di intellettuali ha fatto un appello al governo per eliminare il sistema dei voti dalle scuole elementari,  per evitare a bambini troppo piccoli di dover reggere stress e competizione e ho capito che non ero il solo ad avere una certa idea dell’infanzia. Lo scrittore Daniel Pennac, primo firmatario dell’appello, che per 27 anni ha fatto l’insegnante, dice:
“il voto è la sorgente della paura preventiva, quella che ci portiamo dietro e che non se ne va più via. Il voto è la valutazione. E’ il giudizio. E’ il sospetto che si annida dentro l’alunno, dentro il maestro. Il voto è la vergogna dell’essere somaro. E genera la vergogna dei genitori. E’ la vergogna e la resa dell’insegnante. E per ultimo la resa di una intera società. Che finisce solo per preoccuparsi dell’identità, dell’immagine. Di un fantasma.”
Dice anche che i professori che lo hanno aiutato sono stati quelli che lo volevano conoscere, che cercavano di fargli amare la materia che insegnavano e non quelli che volevano solo valutarlo. E’ un discorso valido anche per una scuola media o superiore, per quanto mi riguarda.
Infine mi accorgo di due cose.
 La prima è che proprio nel 2009 in Italia la Gelmini reintroduce, addirittura, il voto da 1 a 10, al posto del voto attraverso un giudizio come succedeva dal 1977.
La seconda è che non bisognava aspettare i francesi per teorizzare una scuola più serena per i bambini, perché già nel 1907 Maria Montessori professava proprio questo, fondando la sua prima “casa dei bambini” a Roma, niente voti e niente compiti a casa.
Non era difficile. Bastava guardarsi le spalle.

P. s. In Italia anche prima del 1977 la valutazione alle scuole elementari era in voti da 1 a 10, con precisione è nel 1923, con il partito fascista già al potere, che si sceglieva questo tipo di valutazione. Due anni dopo ebbe inizio la dittatura fascista.