Immagine di Giancarlo Covino |
Non c’è nessun percorso da
seguire. Non c’è “la” strada. C’è
solo “una” strada, quella che non
esiste ancora. La strada che stiamo costruendo. Nessuno può dirci dove vada,
che cosa c’è in fondo. Nessuno può dirci se è sbagliata. Che cosa sarebbe
giusto o sbagliato? Esistiamo solo noi e nessun altro quando si tratta di decidere
della nostra strada. E’ la nostra strada. Potrebbe
non esistere, potrebbe non essere un qualcosa di già visto, e per questo
potrebbe fare paura. Credo che meno sia ordinaria e inconsueta e più sarà
bella. E’ questo il metro di giudizio per chi non si accontenta. Bisogna
vivere, non sognare di farlo. Me lo ripeto sempre. Ma vivere è difficile, se la
mettiamo in questi termini, significa mettersi in gioco, non seguire un
percorso solo perché è di fronte a noi o perché è il più semplice per
guadagnare qualcosa, per avere una famiglia, per avere un lavoro. Sembra quasi
impossibile vivere veramente se ci soffermiamo a pensare: come si vive veramente? Non come ci hanno insegnato i media, i
giornali, i politici, gli amici, i
cattivi libri. Nessuno ci può insegnare come si vive. Questo è il punto.
Rimboccarci le maniche per costruire una strada, una strada che non esiste
ancora, non per sopravvivere alle condizioni degli altri. Alle condizioni dei
genitori. Alle condizioni di quelli che ci consigliano che è meglio così. Dicono:
“Accetta quel lavoro, vedrai, con il tempo ti piacerà”, “non preoccuparti è solo l’inizio poi ti
abituerai”, “e che deve dire allora quello, guardalo”, “anche se non ti piace
sei fortunato ad avere un lavoro di questi tempi”, “tieniti stretto il tuo
lavoro, non importa che non hai tempo libero, poi cambierà”. E ancora: “non è
così che si educano i figli”, “in ferie si va ad Agosto”, “ ma come, perché
oggi non lavori ? Che cosa fai senza fare niente ?, “vai a letto tardi per
dipingere e ti svegli a mezzogiorno, ma che vita é? Non è così che si fa”…
Ma la Gioia, dov’è la Gioia ?
La Gioia della vita.
E’ la sovrastruttura che l’uomo,
con l’aiuto dei mass-media, ha costruito intorno al concetto originario di
gioia che ci ha fatto completamente perdere contatto con essa. La Gioia di
vivere. Con il tempo, i media, e quindi la società che noi abbiamo via via
delineato, ci hanno inculcato, attraverso continui ammaestramenti, il surrogato
della gioia. Così come entrando in salumeria compriamo il sugo pronto che ci
ricorda tanto il sugo fatto in casa dalla nonna. Il problema è che il ricordo
del sugo della nonna nel tempo si affievolito sempre di più fino a scomparire
del tutto. Alcuni sono convinti che il sugo fatto in casa dalla nonna si sia
sempre trovato in salumeria. E’ stato inventato da qualche grande produttore.
Abbiamo dimenticato dove è nato quel sapore. Non sapremmo più riconoscere
quello autentico perché, di generazione in generazione, è stato tramandato
sempre meno. Nessuno lo conosce. E’ quello che è accaduto alla gioia, alla felicità.
Ci accontentiamo di credere
che sia quella di cui parlano tutti, di cui tutti sono convinti. Abbiamo
dimenticato che la gioia è una esperienza personale, un viaggio soggettivo
dell’anima. Nessuno potrà mai dirti come raggiungerla e che cosa sia.
Perché
un lavoro dovrebbe piacermi con il tempo ? Forse perché non c’entra niente con
me e con la mia visione della vita, con i miei sogni, con le mie passioni e con
le mie ambizioni. Solo quando tutte queste idee saranno finalmente dimenticate
e camminerò su un terreno arido, che non potrà più dare frutti, morto da tempo,
solo allora mi abituerò ad esso. Forse è per questo.
Non
ha importanza se non mi rimane tempo libero ? E perché mai dovrebbe avere
importanza, chissà quante altre vite avrò ancora a disposizione. E poi con il
passare degli anni mi ritroverò ad essere talmente abituato a lavorare
solamente, che non avrò più voglia di andare neanche in pensione. E quando
imperterrita arriverà obbligatoriamente anche la pensione che migliaia di anni
luce prima anelavo, non saprò nemmeno che farmene. Peggio, mi sentirò finito.
Quante brave persone ho visto morire dopo pochissimi anni di pensione, che fino
a quel momento erano state in perfette condizioni fisiche, e non desideravano altro che dedicarsi un po’ a se
stessi, e che invece si sono ritrovate a non saper minimamente cosa fare di
tutto quel tempo. Perché troppo ne era passato a mettere da parte e pian piano dimenticare
tutto quello che erano. Perché è da quello che siamo che traiamo quello che
facciamo. Perché è da quello che sogniamo di essere che decidiamo quello che
faremo.
ciao Michele, le tue parole sono molto forti, in alcuni punti sembranti dettati dalla rabbia, in cui anch'io mi ritrovo, sicuramente ciò che mi vien da aggiungerti e assolutamente condividere è proprio sulla fredda meccanizzazione che ci stanno trasformando, sembriamo ormai tutte delle macchine o almeno così ci considerano, con un tragitto ben preciso, senza possibilità di varianti, l'uomo, l'essere umano, bisognoso di una carezza, di un'attenzione, anche minima, viene sempre più considerato un usa e getta, credo che basti poco veramente poco per far contento una persona, per far capire che tutti siamo utili, nn chiediamo nulla di più! E poi soprattutto l'idea di comunità, di grande famiglia, dove crescere, dove imparare, dove apprendere dal più saggio, dove è finita? Noi giovani, soli ed abbandonati a noi stessi, dove troviamo giusti esempi da seguire? DOVE? DOVE? DOVE?
RispondiEliminaAle
Sicuramente nelle cose che scrivo c'è della rabbia, sono d'accordo con te. Scrivendo mi sono accorto che, la rabbia, è una delle motivazioni che mi hanno spinto a scrivere questo blog. Condivido appieno quello che hai scritto e questo nostro scambio di pensieri ne è la prova. Nel senso che ho provato piacere ad averlo e a condividere perplessità, timori e, non ultima, la rabbia eppure non ci è costato niente in termini di denaro (che sembra essere l'unica strada). Questo ci ha reso, secondo me, liberi. E la "Libertà vera" è ciò che inseguo. A presto...
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